martedì 8 ottobre 2013
In 1984, George Orwell paventava la fine della libertà a causa di una esplicita dittatura, in cui l’informazione, la cultura e la Storia sarebbero state censurate e riscritte da un ministero apposita; il romanzo uscì nel 1948, con alle spalle la dittatura nazista e davanti agli occhi ‘il mostro’ sovietico. Quindici anni prima, nel 1933, Aldous Huxley pubblicava Il mondo nuovo, un romanzo che suscitò meno clamore probabilmente perché poco si prestava a essere strumentalizzato: immaginava infatti una società in cui le persone vivevano felici, in uno stato di costante divertimento, distratte da cose superficiali, grate alla tecnologia che le liberava dalla fatica di pensare; erano oppresse, ma a tal punto condizionate fin dalla nascita da non essere in grado di capirlo. Orwell temeva una società in cui i libri sarebbero stati banditi, Huxley quella in cui nessuno avrebbe avuto il desiderio di leggerli; Orwell temeva la dittatura che si odia, Huxley quella che si ama; Orwell la cultura censurata, Huxley quella divenuta un balbettio infantile. Davanti a una televisione che è diventata il principale strumento di un potere falsamente democratico, ha ancora ragione Pasolini: “La maggioranza, nella sua santità, ha sempre torto: perché il suo conformismo è sempre, per propria natura, brutalmente repressivo”.
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