mercoledì 9 ottobre 2013
Clarissa Pinkola Estés, Barbablù - Una matassina di barba è conservata in un convento di monache lontano sulle montagne. Come sia arrivata al convento nessuno lo sa. Alcuni dicono che furono le monache a seppellire quel che restava del suo corpo, perché nessun altro l'avrebbe toccato. Perché mai le monache conservino una siffatta reliquia, nessuno lo sa, ma è vero. L'amica della mia amica l'ha vista con i suoi occhi. Dice che la barba è blu-indaco, per l'esattezza. E' blu come il ghiaccio scuro sul lago, blu come l'ombra in un buco di notte. Questa barba apparteneva un tempo a uno che dicono fosse un mago mancato, un gigante con un debole per le donne, un uomo noto col nome di Barbablù. Si diceva corteggiasse tre sorelle contemporaneamente. Ma quelle erano spaventate dalla barba dallo strano colore, e cosà si nascondevano quando le chiamava. Nel tentativo di convincerle della sua mitezza, le invitò a una passeggiata nel bosco. Arrivò con cavalli ornati di campanelli e nastri cremisi. Sistemò le sorelle e la loro madre sui cavalli, e al piccolo galoppo si avviarono nel bosco. Fecero una stupenda cavalcata, con i cani che correvano accanto e davanti a loro. Poi si fermarono sotto a un albero gigantesco e Barbablù le intrattenne narrando storie e offrà loro leccornie. Le sorelle cominciarono a pensare: “Insomma, questo Barbablù forse non è poi tanto cattivo”. Tornarono a casa e non finivano più di parlare di quella giornata cosà interessante, di quanto si erano divertite. Pure, riaffiorarono i sospetti e i timori nelle due sorelle maggiori, ed esse giurarono di non rivedere mai più Barbablù. Ma la più piccola pensò che se un uomo poteva essere tanto affascinante, allora forse non era neanche cosà cattivo. Più rimuginava tra sé, e meno le sembrava terribile, e anche la barba le pareva meno blu. Cosà quando Barbablù chiese la sua mano, lei accettò. Aveva accolto con orgoglio la proposta di matrimonio, e pensava di ssposare un uomo molto elegante. Si sposarono, e poi andarono al suo castello nei boschi. Un giorno andò da lei e le disse: “Devo andar via per qualche tempo. Invita qui la tua famiglia, se ti fa piacere. Potrete cavalcare nei boschi, ordinare ai cuochi di preparare un banchetto, potrai fare tutto quel che vuoi, tutto quel che il tuo cuore desidera. Ecco il mio mazzo di chiavi. Puoi aprire tutte le porte dei magazzini, le stanze del tesoro, qualunque porta del castello; ma non usare questa piccola chiave con la spirale in cima”. Rispose la sposa: “Sà, farò come dici. Mi sembra bellissimo. Vai dunque, mio caro marito, e non preoccuparti e torna presto”. Cosà lui partà, e lei rimase. Le sorelle andarono a trovarla e, come tutte le donne, erano molto curiose di sapere che cosa il Padrone aveva detto di fare durante la sua assenza. Gaiamente la giovane sposa raccontò tutto. “Ha detto che possiamo fare tutto ciò che desideriamo ed entrare in tutte le stanze che vogliamo, tranne una. Ma ignoro quale sia. Ho soltanto una chiave, e non so quale porta apra.” Le sorelle decisero di fare il gioco di trovare quale chiave apriva quale porta. Il castello era di tre piani, con un centinaio di porte in ogni ala, e siccome molte erano le chiavi del mazzo, si divertirono immensamente a passare da una porta all'altra. Dietro a una porta c'erano le dispense, dietro a un'altra i depositi delle monete. In ogni stanza c'erano beni di ogni sorta, e ogni volta sembrava tutto più meraviglioso. Alla fine arrivarono alla cantina. Si scervellarono sull'ultima chiave, quella con la piccola spirale in cima. “Forse questa chiave non apre proprio nulla.” Mentre cosà dicevano, udirono uno strano suono: “errrrrrrrrr”. Sbirciarono dietro l'angolo, e - guarda guarda! - c'era una porticina che si stava appunto richiudendo. Cercarono di riaprirla, ma era sprangata. Una gridò: “Sorella, sorella, porta la tua chiave. Sicuramente è questa la porta della misteriosa chiavetta”. Senza riflettere neanche un momento una delle sorelle infilò e girò la chiave nella toppa. La serratura scattò, la porta si spalancò, ma dentro era cosà buio che non potevano vedere nulla. “Sorella, sorella, porta una candela.” Venne cosà accesa una candela e portata nella stanza, e le tre donne lanciarono tutte insieme un urlo perché la stanza era un lago di sangue e ossa annerite di cadaveri erano sparse ovunque, e negli angoli i teschi erano impilati come piramidi di mele. Richiusero velocemente la porta, sfilarono la chiave dalla toppa e si aggrapparono l'una all'altra, respirando affannosamente. Dio mio! Dio mio! La sposa guardò la chiave e vide che era macchiata di sangue. Terrorizzata, usò l'orlo della gonna per ripulirla, ma il sangue restava. “Oh, no!” urlò. Ogni sorella prese la chiavetta in mano e cercò di farla tornare come prima, ma il sangue non se ne andava. La sposa si nascose in tasca la piccola chiave e corse in cucina. Quando arrivò, il suo abito bianco era macchiato di rosso dalla tasca all'orlo perché la chiave lentamente versava gocce di sangue rosso scuro. Ordinò al cuoco: “Svelto, dammi uno strofinaccio”. Strofinò la chiave, ma non smetteva di sanguinare. Goccia su goccia, puro sangue rosso colava dalla piccola chiave. Portò fuori la chiave, la strofinò con la cenere. La avvicinò al fuoco per cauterizzarla. La ricoprà di ragnatele per arrestare il flusso, ma niente riusciva a fermare il sangue. “Oh, che devo fare?” urlò. “Ecco che cosa farò: la nasconderò. La metterò nell'armadio e chiuderò la porta. Questo è un brutto sogno. Andrà tutto bene.” E cosà fece. Il marito tornò la mattina dopo ed entrò nel castello chiamando la sua sposa. “Allora? Com'è andata durante la mia assenza?” “E' andato tutto bene, sire.” “E come sono i miei depositi?” tuonò. “Bellissimi, sire.” “E le stanze del tesoro?” ringhiò. “Anche quelle sono bellissime, sire.” “Tutto bene, dunque, moglie?” “Sà, tutto bene.” “Bene”, sussurrò, “allora sarà meglio che tu mi restituisca le chiavi.” Con una rapida occhiata si accorse che mancava una chiave. “Dov'è la chiave più piccola?” “Io... io l'ho perduta. Stavo cavalcando, il mazzo di chiavi mi è caduto e deve essersi persa in quel frangente.” “Che cosa ne hai fatto, donna?” “Io... io... non ricordo.” “Non mentirmi! Dimmi che cosa hai fatto di quella chiave!” Le posò una mano sulla guancia come per accarezzarla, ma invece la afferrò per i capelli. “Infedele!” ringhiò, e la gettò a terra. “Sei stata nella stanza, vero?” Spalancò l'armadio e la piccola chiave sul ripiano in alto aveva sanguinato sangue rosso sulle belle sete dei suoi abiti appesi là. “Ora tocca a te, mia signora”, urlò, e la trascinò giù nella cantina, finché non arrivarono davanti alla terribile porta. Barbablù guardò la porta con gli occhi di fuoco e subito per lui la porta si aprà. Là giacevano gli scheletri di tutte le sue mogli precedenti. “Eccoci!” ruggiva, ma lei si era aggrappata alla porta e non lasciava la presa. Implorò per la sua vita: “Ti prego, consentimi di raccogliermi per prepararmi alla morte. Concedimi soltanto un quarto d'ora prima di togliermi la vita, per trovarmi in pace con Dio”. “Va bene”, urlò. “Avrai un quarto d'ora soltanto, e fatti trovare pronta.” La sposa salà di corsa le scale per raggiungere la sua camera e per mandare le sorelle sui bastioni del castello. S'inginocchiò per pregare, ma invece interrogava le sorelle. “Sorelle, sorelle! Vedete arrivare i nostri fratelli?” “Non vediamo nulla, nulla sulle pianure aperte.” A ogni istante ripeteva: “Sorelle, sorelle! Vedete arrivare i nostri fratelli?” “Vediamo un turbine, in lontananza forse un polverone.” Intanto Barbablù chiamò a gran voce la moglie perché scendesse in cantina, dove l'avrebbe decapitata. Di nuovo interrogò: “Sorelle, sorelle! Vedete arrivare i nostri fratelli?” Di nuovo Barbablù chiamò a gran voce la moglie e prese a risalire i gradini di pietra. Urlarono le sorelle: “Sà, li vediamo! I nostri fratelli sono arrivati e sono appena entrati nel castello”. Barbablù si lanciò verso la camera della moglie: “Sto venendo a prenderti!” urlava. Pesanti erano i suoi passi; le pietre del vestibolo si aprirono, la sabbia della calcina cadde sul pavimento. Mentre Barbablù avanzava pesantemente nella stanza con le mani tese per afferrarla, i fratelli a cavallo percorsero al galoppo il vestibolo del castello e a cavallo entrarono nella stanza. Lanciarono Barbablù sul bastione. Con le spade sguainate, avanzarono verso di lui, colpendo e fendendo, tagliando e sferzando, abbattendo Barbablù a terra, uccidendolo infine e lasciando alle poiane il suo sangue e le cartilagini.
Clarissa Pinkola Estés, Donne che corrono coi lupi, Frassinelli
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