http://www.scicom.unipg.it/programmi2013/Scheda%20Dominici%20Comun.pubblica%20a.a.%202013%202014.pdf
La società della conoscenza spinge le organizzazioni complesse a configurarsi come sistemi sociali aperti che tentano di governare l'incerto attraverso la condivisione di una cultura organizzativa e progettuale. La comunicazione, intesa come processo sociale di condivisione della conoscenza (potere), ha assunto ormai una centralità strategica in tutte le
sfere della prassi individuale e collettiva: considerando fondata l'equazione conoscenza = potere, ne consegue che tutti i processi, le dinamiche e gli
strumenti finalizzati alla condivisione della conoscenza non potranno che determinare una condivisione del potere o, comunque, una riconfigurazione dei sistemi di potere. È in questa prospettiva d'analisi che si inserisce la riflessione e l'analisi critica sul ruolo essenziale della comunicazione pubblica - sui processi e gli strumenti che la connotano - vera e propria
"cinghia di trasmissione" tra sistema di potere e società civile in grado di ridefinire i confini della cittadinanza e le forme del vivere democratico
(differenza tra cittadinanza e sudditanza). Nel complesso rapporto tra cittadino e Stato (P.A.), i valori fondanti della trasparenza e dell'accesso alle
informazioni si rivelano così ancor più decisivi in un'epoca segnata da una sfera pubblica sempre più "ancella" del sistema di potere, dall'ipertrofizzazione degli apparati burocratici e dalla progressiva
dissoluzione dello spazio pubblico.
Piero Dominici
Sfera
pubblica e società della conoscenza
(2008)
La
ricerca di un paradigma più flessibile
L’avvento
della modernità complessa [Dominici 2005] ha innescato, tra
le molteplici dinamiche, un processo di ipertrofizzazione
degli apparati burocratici risultanti dal rafforzamento dei vecchi
Stati-nazione che, a sua volta, ha determinato la progressiva
dissoluzione di quello spazio pubblico definito
dallo stato di diritto come il “luogo” in cui tutte le istanze
sociali, le modalità della rappresentanza politica e, soprattutto,
la tutela dei diritti devono trovare legittimazione e riconoscimento
da parte delle collettività.
Il
processo di evoluzione dei neonati regimi democratici, spesso
culturalmente fondati sul concetto di “sovranità popolare”1
e sulla mancata definizione del rapporto tra i valori fondanti della
libertà e dell’uguaglianza [Rawls 1971; Dworkin
1978; Maffettone 1991; Sen 1992; Bobbio 1995], ha causato una
radicale politicizzazione della sfera pubblica che,
articolatasi poi in istituzioni politiche e in nuove istanze sociali
in cerca di un riconoscimento pubblico e di una traduzione operativa
in norme di diritto, è andata configurandosi sempre più – con il
suo carattere di globalità – come “sistema
autopoietico”.
1
“Sovranità popolare” intesa come egemonia
o predominio delle maggioranze.
Lo
spazio operativo della sfera pubblica si è visto in tal modo
drasticamente ridimensionato, in maniera peraltro inequivocabile,
alla sola questione della “rappresentanza”. La politica entra
in crisi forse proprio nel momento in cui la sfera pubblica si
configura sempre più come ancella del sistema di
potere. In quel momento viene meno, cioè, per dirla con
Habermas, quel livello di mediazione tra sistema e mondo della
vita che si fonda su un agire comunicativo in grado di
tematizzare criticamente istanze sociali e opinioni generatesi
all’interno del mondo della vita e della società civile,
dando loro piena legittimità oltre che rilevanza pubblica.
La
rivoluzione digitale e il conseguente avvento della Network
Society [Castells, 1996], il progresso tecnologico e il mutamento
culturale globale in atto hanno determinato una complessificazione
della prassi e, in particolare, delle interazioni sociali
senza precedenti nel percorso evolutivo dei sistemi sociali. Il
processo di de-costruzione di tutti i paradigmi scientifici e dei
sistemi di orientamento conoscitivo e morale (politica)
– iniziato e portato avanti dal pensiero del Novecento – sta
procedendo a ritmi talmente sostenuti da rendere estremamente
complicata la definizione e la formulazione di modelli interpretativi
del reale.
L’inevitabile
dilatazione della prassi (non soltanto politica)
costringe, pertanto, la comunità scientifica a ripensare, se non
addirittura a riformulare, le stesse categorie concettuali – e, tra
queste, quella di “sfera pubblica”2 che si è rivelata assolutamente centrale – che hanno consentito
per molto tempo la decodifica dei mutamenti socio-culturali.
2 Per avere un quadro di
riferimento introduttivo al tema si veda W.Privitera [2001], opera
nella quale l’Autore prende in esame i diversi modelli di sfera
pubblica e riflette criticamente sulla crisi della sovranità
popolare nell’era
della globalizzazione.
Ed
è proprio questa dilatazione a richiedere un significativo
sforzo a studiosi e intellettuali, nel tentativo di elaborare un
paradigma più flessibile del concetto di “sfera pubblica”
- e di quello di “opinione pubblica”
[Price, 1992]. Tale necessità si rende ancor più urgente
proprio in questa dimensione rivelatasi – come detto - assolutamente
strategica per il progresso dei regimi democratici e, forse, per la
loro stessa sopravvivenza. Ad essere in gioco sono i diritti di
cittadinanza, vale a dire l’accesso alle informazioni ed
alle conoscenze ma anche, e soprattutto, la possibilità di un loro
utilizzo più consapevole e produttivo – produzione sociale di
conoscenza - finalizzato ad incidere sulle decisioni politiche e la
dialettica democratica (comunicazione come trasparenza).
Perché si può essere “sudditi” anche in un regime democratico.
Affermando ciò, dovremmo allargare il discorso – ma non è questa
la sede – al tema fondamentale della scuola e dell’istruzione
perché, inevitabilmente, una scuola diseguale produce e
ri-produce una società diseguale. A maggior ragione, in sistemi
sociali che non riescono a garantire neanche l’eguaglianza delle
opportunità di partenza. Si tratta, pertanto, di una
ridefinizione di assetti e gerarchie (concetto di disintermediazione)
che (ri)configura lo spazio di un “sapere condiviso” e chiama in
causa questioni legate alle criticità, non solo strutturali, della
società della conoscenza: digital divide, asimmetrie
informative/conoscitive, competenze, formazione, (nuove)
responsabilità. Si
tratta di tematiche fondamentali, che non possono non essere
affrontate anche a livello internazionale3:
in caso contrario, ci troveremo di fronte ad una società della
conoscenza che rafforzerà ulteriormente élite e gruppi di
potere (locali e globali). Anche perché le nuove tecnologie
dell’informazione stanno contribuendo in maniera decisiva al
processo di costruzione di una nuova sfera pubblica
metanazionale caratterizzata da modalità di interazione sociale
del tutto innovative, in grado di stravolgere le tradizionali
logiche della dialettica democratica e della rappresentanza e,
più in generale, dell’arena politica ormai anch’essa
globale4.
Ma l’innovazione tecnologica senza cultura non porta mai
troppo lontano o, quanto meno, non allarga la base di chi può trarne
beneficio.
L’era
dell’E [Beck,
1993], dominata da ambivalenza ed entropia, si
configura sempre più come società della comunicazione edificata
sulla condivisione delle informazioni e delle conoscenze5.
Un fase in cui, tuttavia, si assiste alla crisi, sempre più
preoccupante, del welfare provocata da un complesso processo
di mutamento del mercato del lavoro, che sta ridisegnando l’intera
stratificazione sociale a livello locale e globale; rendendo,
oltretutto, la precarietà una condizione esistenziale e
indebolendo il sistema dei diritti e delle tutele.
3
Non a caso gli analisti più
attenti e critici parlano di società
civile transnazionale
e di sfera pubblica
postnazionale.
4
Si pensi al dibattito
contemporaneo, estremamente articolato, sulla questione della
democrazia
e delle sue possibili “derive” (concetto di “postdemocrazia”),
legate paradossalmente proprio alle maggiori opportunità (concetto
di “poliarchia”) che la democrazia stessa definisce e determina.
Si vedano in particolare: L.Canfora [2004]; C.Crouch [2000]; R.Dahl
[1998]; J.Dunn [2005]; G.Sartori [1992]; G.Schiavone [2001]. Per
un’introduzione chiara ed esauriente al concetto, si rimanda alla
voce curata dallo stesso Norberto Bobbio per il celebre Dizionario
di politica, UTET,
Torino [ed.1983 e 1990], diretto da N.Bobbio, N.Matteucci,
G.Pasquino.
5
In tal senso, occorre essere profondamente consapevoli che la
cosiddetta “economia della conoscenza” deve necessariamente
fondarsi proprio sulla condivisione
di questa
straordinaria risorsa immateriale; condivisione
che costituisce il
pre-requisito fondamentale senza il quale viene negata di fatto la
possibilità della produzione
stessa di conoscenza.
L’attuale
sistema-mondo, caratterizzato dalla radicale incertezza dei
sottosistemi che lo costituiscono, introduce nell’analisi altre
variabili funzionali alla produzione di nuove disuguaglianze sempre,
e comunque, correlate alla possibilità di accedere, gestire e
produrre conoscenze indispensabili per esercitare i diritti di
cittadinanza. La cosiddetta società globale del rischio
[Beck, 1999b] obbliga di fatto i vecchi Stati-nazione a ideare e
mettere in campo politiche sempre più mirate alla crescita
economica: allo stesso tempo, si tratta di strategie che non riescono
anche a prevenire completamente i rischi generatisi nel frattempo: e
per far questo, è necessario ricercare il supporto delle
opinioni pubbliche.
La comunicazione si conferma, oltre che come “valore
aggiunto” della cosiddetta modernizzazione riflessiva, anche
come vera e propria “essenza dell’uomo contemporaneo”. Sono
emerse, in tal senso, diverse sollecitazioni all’approfondimento.
In particolare, lo spunto più importante potrebbe essere così
sintetizzato: le nuove tecnologie della comunicazione, oltre a far
saltare progressivamente (dis-intermediare) qualsiasi
meccanismo di mediazione politica e/o sociale, hanno il
potere, forse illimitato, di estendere le possibilità e le
occasioni comunicative dell’umanità, facilitando l’accesso
e lo scambio di informazioni e conoscenze tra gli individui
(società della conoscenza). Detto in altri termini, la Grande
Rete (Internet) accresce in maniera esponenziale le condizioni per
una distribuzione capillare delle capacità di comunicare, calcolare
e archiviare le informazioni stesse; questo aspetto non deve essere
assolutamente sottovalutato, dal momento che costituisce il
principale indicatore della straordinaria trasformazione delle
dinamiche e dei processi economici (e socioculturali) in atto a
livello globale. Va
anche sottolineato che questo sistema
reticolare mondiale pone
il Soggetto “di fronte al mondo incerto” e gli richiede
conseguentemente un livello sempre più elevato di conoscenze anche,
e soprattutto, per essere fino in fondo “cittadino” . Gli
osservatori più critici e pessimisti, a questo punto, osservano che
il singolo sarà “solo” di fronte al mondo, che gli si
prospetterebbe come realtà virtuale, con un peso forse
insostenibile, “solo” con le sue scelte
illusorie o predeterminabili da
chi detiene il potere o da un gruppo sociale di appartenenza
reinventato o riplasmato dallo stesso sistema della comunicazione
globale. Gli osservatori più spassionati ed ottimisti, invece,
vedono nella molteplicità delle occasioni comunicative e
nell’estensione delle sfere raggiungibili, altrettante “chances”
di scelta per il singolo, scelte libere di ogni tipo,
pragmatico-operativo, tecnico-conoscitivo, psicologicamente autonome
e moralmente valutabili di volta in volta, scelte comunque mediate
attraverso i valori del
gruppo sociale di appartenenza.
L’attenzione della nostra analisi va posta, in particolare, sulla
qualità delle attuali
interazioni comunicative che caratterizzano la nuova
sfera pubblica,
riflettendo sulla comunicazione come processo
sociale,
caratterizzato da un “ecosistema comunicativo” di relazioni, più
o meno, simmetriche. L’ambivalenza del processo di glocalizzazione
[Robertson,
1995] non
può che avere ricadute sui singoli attori sociali, sulla qualità
delle loro relazioni e sulle reti
di interazione sociale di
cui fanno parte (oltre che, evidentemente, sui sistemi e sulle
organizzazioni), all’interno delle quali – come Mead ha
opportunamente dimostrato – si strutturano l’autocoscienza, la
razionalità, le identità culturali e, soprattutto, i significati
condivisi che rendono possibile la “società”.
Per
un nuovo
contratto
sociale: il
ruolo delle “soggettività etiche”
La
comunicazione etica
– non è inutile ripeterlo – “costruita”
su principi razionali acquisiti in maniera intersoggettiva e
finalizzata alla
conoscenza condivisa,
può avere un ruolo davvero importante a molteplici livelli di
criticità:
nella rinascita di un Umanesimo
garante dei fondamentali diritti di cittadinanza globale; nella
formazione della “società civile transnazionale” [Beck, 1997];
nella effettiva realizzazione di una politica interna mondiale che,
seppur con modalità estremamente criticabili, i vecchi stati-nazione
iniziano a perseguire; nella decisiva promozione,
a livello globale, di strategie finalizzate a realizzare quella
“società della conoscenza diffusa” che, nel lungo periodo,
potrebbe costituire - in un’epoca nella quale le informazioni,
le conoscenze
e l’accesso
[Rifkin, 2000] ad esse rappresentano le fonti di ricchezza e di
potere più importanti – una risorsa inesauribile per la riduzione
delle disuguaglianze mondiali6 e per la questione cruciale dei diritti umani e di cittadinanza. Ad
un livello “micro”, non meno importante, i presupposti della
comunicazione etica e sociale e del modello della condivisione
della conoscenza
potrebbero definitivamente determinare un salto di qualità senza
precedenti nelle prassi organizzative (interne ed esterne) degli
stati-nazione, delle pubbliche amministrazioni e delle imprese,
soprattutto in un sistema produttivo che si configura sempre più
come società dei servizi.
Nel
portare avanti questo “progetto”, legato ad una Diskursethik
che ricerca
l’eguaglianza
e la responsabilità
degli attori coinvolti nell’atto comunicativo, è necessario
confrontarsi con i percorsi
del pensiero, non soltanto etico, del Novecento, portatore
del valore del
relativismo [Nagel,
1997]7
e della sostanziale e universale – per dirla con Wittgenstein -
eterogeneità dei
giochi linguistici e delle forme di vita.
L’atto linguistico permette di creare una “relazione
intersoggettiva”, in quanto chi lo produce crea
contemporaneamente una relazione sempre riferita ad un sistema
di regole: la comunicazione è, in tal senso, alla
base del contratto sociale. Il concetto di
“intersoggettività” costituisce l’elemento fondante l’identità
individuale e gli stessi principi etici, comunque autonomamente
selezionati, si originano all’interno di dinamiche
discorsive e, più in generale, comunicative razionalmente
fondate e orientate verso un’intesa che non può essere
imposta8.
6
Disuguaglianze
che sono anche politiche e culturali.
7 E.Tugendhat [1984] definisce il “relativismo” come la
“constatazione di una molteplicità di convinzioni morali
reciprocamente contraddittorie […] che avanzano ciascuna una
propria pretesa assoluta” [p.69].
8
La teoria di Jürgen Habermas risente molto, sotto questo aspetto,
dell’influenza di George Herbert Mead che, nel proporre
l’interessante concetto di “Altro generalizzato”, arriva ad
affermare che “L’atteggiamento dell’altro generalizzato é
l’atteggiamento dell’intera comunità. (...) Nel periodo
astratto l’individuo assume l’atteggiamento dell’altro
generalizzato verso se stesso (...) solo così il pensiero - o la
conversazione internalizzata dei gesti che costituiscono il pensiero
- si dà” [Mead,
1934:154].
Il Soggetto si ritrova direttamente coinvolto in una
fitta rete di rapporti sociali che é preesistente
all’affermazione della sua personalità e che lo condiziona:
“Il processo da cui il sé emerge é un processo sociale che
implica l’interazione degli individui nel gruppo, implica la
preesistenza del gruppo” [Mead, 1934: 164].
Pur
nella diversità delle prospettive, alla base dell’opera di questi
studiosi che costituiscono il collante
teorico di tutta la nostra analisi, sta il profondo convincimento che
“La socialità non è un accidente né una contingenza; è la
definizione stessa della condizione umana” [Todorov, 1995: 29]:
tutti gli individui sono segnati da un’incompletezza originaria che
viene colmata
soltanto nel corso dell’esistenza
sociale9.
Dunque, è solo nel corso del processo di socializzazione,
e all’interno delle reti (comunicative)
di interazione sociale, che l’attore sociale, oltre a strutturare
la sua coscienza
di sé
e la sua identità,
inizia a tessere
e, successivamente, ad alimentare la trama del sistema dei valori
etici e conoscitivi, che costituisce la base per il consenso
[Habermas 1981a: 199].
All’interno di questo processo10,
il medium
della “lingua corrente” svolge una funzione fondamentale, per non
dire vitale, per il sistema stesso, orientandolo verso l’intesa
ed il reciproco
riconoscimento da
parte di tutti i soggetti. Una centralità
che richiede consapevolezza – e capacità di controllo – della
natura complessa delle “competenze comunicative” e che si
manifesta nella produzione della cultura
e, in particolare, nel processo di costruzione
sociale dei significati condivisi
a
9 “La fonte di ogni giudizio è nel riferimento all’altro […] e
dunque tanto l’etica quanto l’estetica non possono nascere che
in società. Non possiamo giudicarci senza uscire da noi stessi e
guardarci con gli occhi degli altri. Se si potesse allevare un
essere umano in isolamento, questi non potrebbe esprimere alcun
giudizio, neppure di sé: gli mancherebbe uno specchio per vedersi”
[Todorov, 1995: 34].
10 Ciò può avvenire nel momento
in cui “I soggetti capaci di parlare ed agire vengono anzi
costituiti quali individui solamente perché, in quanto membri di
una comunità linguistica ogni volta particolare, crescono in un
mondo della vita intersoggettivamente diviso. Nei processi di
formazione comunicativi si costituiscono e si conservano
cooriginariamente l’identità del singolo e quella del collettivo”
[Habermas, 1991: 11].
livello locale e globale. Si deve
inoltre prendere atto, oltre che del potenziamento dei mezzi, del
processo di proliferazione
dei canali comunicativi e delle modalità comunicative.
Nell’era della glocalizzazione, la riflessione del sociologo
e filosofo tedesco risulta particolarmente attuale, soprattutto per
ciò che riguarda la sua ricerca dei prerequisiti universali decisivi
per realizzare l’intesa con l’ALTRO. Intesa che,
anche per Apel (che parla di atti di comunicazione linguistica),
si realizza sulla base di una razionalità comunicativa e non
della razionalità dei mezzi e dei fini formulata da Weber.
Intesa che potrebbe essere tradotta in termini
operativi come scambio delle risorse conoscitive, riduzione
dell’incertezza globale, riconoscimento dei “diritti di
cittadinanza globale”, condivisione di (alcuni) principi etici e
normativi11,
politiche transnazionali di sviluppo, formazione di una
società civile transnazionale, politiche educative per la
società multiculturale e per educare alla cittadinanza.
Ed è, in tal senso, che nella teoria dell’agire comunicativo, nel
tentativo di fondere insieme teoria dell’azione e teoria dei
sistemi e, avvertendo l’esigenza di una razionalità
comunicativa, emerge il rapporto dialettico esistente tra
“agire strumentale” e “agire comunicativo”, tra “sistemi”
e “mondo della vita”. In particolare, il concetto di
“mondo della vita” (Lebenswelt) è il meccanismo
essenziale che assicura la riproduzione dei sistemi sociali:
11
Processo che, non senza difficoltà, sta già avvenendo a livello
di diritto internazionale.
Sotto l’aspetto funzionale
dell’intendersi l’agire comunicativo
serve alla tradizione e al rinnovamento del sapere culturale; sotto
l’aspetto del coordinamento delle azioni
esso serve all’integrazione sociale e alla
produzione di solidarietà: sotto l’aspetto
della socializzazione l’agire comunicativo
serve infine alla formazione di identità personali. Le strutture
simboliche del mondo vitale si riproducono attraverso la
continuazione del sapere valido, la stabilizzazione della solidarietà
di gruppo e la formazione di attori imputabili. Il processo di
riproduzione collega situazioni nuove agli stati esistenti, e
precisamente nella dimensione semantica
dei significati e dei contenuti (della tradizione culturale)
altrettanto come nelle dimensioni della spazio
sociale (di gruppi socialmente integrati) e
del tempo storico
(delle generazioni in successione). A questi processi della
riproduzione culturale,
dell’integrazione sociale e
della socializzazione
corrispondono, quali componenti strutturali
del mondo vitale, la cultura, la società e la persona […] Il campo
semantico di contenuti simbolici, lo spazio sociale e il tempo
storico costituiscono le dimensioni
nelle quali si estendono le azioni comunicative. Le interazioni
intrecciate nella rete della prassi comunicativa quotidiana
costituiscono il medium
attraverso il quale la cultura, la società e la persona si
riproducono [Habermas, 1981b: 730-731].
Lo stesso Habermas precisa che questi complessi processi riproduttivi
riguardano in modo particolare le strutture simboliche del mondo
vitale, dalle quali è fondamentale distinguere il substrato
materiale del mondo vitale e i mezzi che ne rendono possibile il
mantenimento12.
Il linguaggio, finalizzato all’intesa con l’Altro,
basandosi su presupposti comunicativi universali che richiamano il
concetto di “intersoggettività”, permette di trascendere la
sfera intima e privata di ogni individuo, mettendolo in condizione di
partecipare empaticamente al discorso.
Nella cosiddetta società del rischio, la conoscenza diventa essa
stessa fattore di rischio e vulnerabilità per i sistemi: lo
straordinario potenziamento delle modalità comunicative e la
radicale differenziazione dei canali dell’offerta formativa
(policentrismo formativo) hanno comportato una crescente capacità
di autodeterminazione da parte del Soggetto in fatto di scelte,
valori, modelli di comportamento, schemi cognitivi. Ma ad essere
sconvolto nel suo complesso è il sistema simbolico condiviso. Il
concetto di “intersoggettività senza costrizione” è, in tal senso, davvero produttivo in termini di ricadute positive per il nostro discorso.
12
In questo caso, tornano in gioco
le categorie weberiane, in quanto “La riproduzione
materiale si compie
attraverso il medium
dell’attività in vista di uno scopo, con la quale gli individui
socializzati intervengono nel mondo per realizzare i propri fini”
[Habermas, 1981b: 731].
Ciò significa elaborare modelli e strategie
funzionali al consolidamento delle importantissime reti di relazione
sociale (oggi anche virtuali), all’interno delle
quali l’attore sociale si orienta e la sfera pubblica si
costituisce.
Il sistema-mondo e la nuova economia informazionale, globale
e interconnessa, richiedono una nuova sensibilità per le
problematiche riguardanti il Soggetto, i rapporti sociali e lo
“spazio del sapere”. Habermas ci viene, ancora una volta, in
aiuto formulando i concetti di interrelazione ed
intersoggettività, che si rivelano interessanti anche, e
soprattutto, nell’ottica di un rafforzamento della sfera
pubblica politica [Habermas, 1962] transnazionale. Ad
essere investite da questo importante mutamento sociale sono
state tutte le dimensioni della prassi individuale e
collettiva: dalla politica all’economia, dall’etica all’estetica.
In altre parole, in questa nuovo “tipo” di sistema sociale,
caratterizzato dal coinvolgimento delle masse nei meccanismi
di produzione e consumo delle merci e dei servizi, si trasforma il
rapporto del Soggetto – e del suo gruppo di riferimento –
con il potere, con la conoscenza, il lavoro, il consumo stesso13
e la fruizione estetica.
Il
processo di convergenza
tra le tecnologie della comunicazione porta con sé anche grandi
possibilità di civilizzazione. E’ fondamentale che, di fronte a
mutamenti di questo rilievo, si rifletta a fondo, oltre che
sull’impatto, anche sui possibili progetti da realizzare, dal
momento che «Le decisioni tecniche, l’adozione di norme e di
regolamenti, le politiche tariffarie, contribuiranno, lo si voglia o
no, a dar forma all’impianto
collettivo della sensibilità, dell’intelligenza e del
coordinamento che
andranno a costituire domani l’infrastruttura di una civiltà su
scala mondiale» [Lévy, 1994: 15]. Si delinea così, per l’uomo
moderno - che potremmo definire suggestivamente «individuo
multimediale»14
- una prospettiva inedita di nomadismo,
in cui lo spostamento non si verifica più a livello fisico
(spostandosi da un punto all'altro nello spazio), bensì navigando a
vista attraverso innumerevoli «mondi di vita» - spesso virtuali, ma
non per questo meno stimolanti e carichi di valenza simbolica (anzi)
- ed infinite «province di significato». L’intelligenza,
con l’aiuto delle tecnologie informatiche, potrà essere
distribuita
ovunque e costantemente valorizzata, generando una nuova civiltà
della comunicazione e del
sapere condiviso. Non a caso, i principali studiosi e teorici della
modernità radicale e della globalizzazione avvertono come primaria
l’esigenza di una ricollocazione
della politica
o, addirittura, di una sua reinvenzione15.
Un
ri-posizionamento
della politica e del sistema di potere che si rende necessario non
soltanto rispetto alla sfera pubblica ma anche rispetto ai singoli
attori sociali, capaci
addirittura di produrre la
“propria” cultura e di stabilire una “propria” agenda
delle priorità che il sistema di potere sarà costretto a
considerare. Si tratta di individui – occorre ribadirlo con forza
– probabilmente slegati dalle tradizionali appartenenze, sempre più
autonomi e consapevoli delle loro scelte come stanno, peraltro, ad
indicare alcuni fenomeni – statisticamente rilevati – tra cui la
radicale differenziazione dei consumi non soltanto culturali e la
proliferazione delle cosiddette “diete multimediali”.
13 Su
questo tema cfr., in particolare, l’interessante concetto di
“consumo vistoso”, definito come simbolo di status
sociale e strumento di prestigio individuale in una società
competitiva, nell’opera di T.Veblen [1899] che, nonostante tutto,
conserva intatte originalità e attualità dell’analisi; tra le
voci molto critiche si veda anche la breve, ma interessante,
raccolta di scritti, pubblicati su riviste francesi e italiane, di
J.Baudrillard [1987].
14
Insieme alle questioni del digital
divide e della
privacy,
avevamo affrontato l’argomento in P.Dominici [1998].
15
Il titolo originale dell’opera di Ulrich Beck [1993], Die
Erfindung des Politischen,
tradotto in italiano con L’era
dell’E, significa
in realtà “La reinvenzione della politica”.
"Pensiero
complesso" e
condivisione della conoscenza. Interpretare
e "governare" il mutamento
Un’ulteriore
conferma di questa urgenza viene dall’interessante processo di
crescita di movimenti politici e di gruppi di pressione che, non
riconoscendosi nelle tradizionali ideologie egemoni e nel sistema dei
partiti, si assumono la responsabilità di confrontarsi con il
Sovrano
su istanze sociali generatesi dal
basso, all’interno
di reti di discussione
pubblica, che però
dovranno trovare necessariamente una loro traduzione operativa. Siamo
di fronte ad una sfera
di discorso che è
stata fin troppo ridimensionata dal dominio dell’economia
(anch’essa destinata a rigenerarsi dal
basso), dal weberiano
impietrimento nella
meccanizzazione e,
soprattutto, dalla tecnocrazia16
e dalla tecnoscienza
[Bucchi, 2006;
Virilio, 2002], che hanno sostituito quasi completamente l’ambiente
naturale con un ambiente
artificiale plasmato e
strutturato dalle
tecnologie17.
Una sfera di discorso depotenziata che, al contrario, deve
assolutamente tentare di riguadagnare i suoi spazi
decisionali,
tenendo conto delle opinioni, delle istanze e dei movimenti
germogliati in una configurazione
multireticolare.
L’obiettivo
cruciale è governare la
globalizzazione: un
processo complesso che richiede un pensiero complesso (oltre ad una
logica sistemica) e che si sta evolvendo in maniera del tutto
autonoma,
quasi in una sorta di autopoiesi18
e che, conseguentemente, tende a delinearsi sempre più come un
mega-sistema
autoreferenziale capace di generare e riprodurre da sé gli elementi
che lo strutturano.
La
complessità
insita nel processo di globalizzazione e nella società
del rischio ci obbliga
a riformulare le categorie
dell’agire politico – su tutte, quella di “sfera pubblica” -
e ad allargare i nostri orizzonti di pensiero e di azione: occorre,
cioè, “elaborare una politica che non si limiti a seguire le
regole, ma le cambi,
una politica non solo dei politici, ma della società,
non solo di potenza, ma di configurazione,
un’arte della politica”
[Beck, 1993: 25].
Anche perché la stragrande maggioranza di quelle regole fondamentali
sono nate in un contesto di Stato-nazione
forte,
nel quale le categorie dicotomiche politica interna/politica estera
risultavano adeguate. Un ripensamento complessivo
16 All’interno della complessa e, allo stesso tempo, ben articolata
riflessione sulla tecnica
e sulla cosiddetta “tecnocrazia” - potere affidato agli
“esperti” e fondato sulla tecnica
e sul sapere scientifico - si veda, in particolare, l’introduzione
alle principali teorie sull’argomento di M.Nacci [2000]; per una
rivisitazione critica dell’ideologia tecnocratica cfr. C.Finzi
[1977]. Si veda anche, in una prospettiva più ampia, U.Galimberti
[1999]. Per ciò che riguarda, invece, la prassi politica e il
concetto di “tecnopolitica” rinviamo a S.Rodotà [1997].
17
Su queste tematiche si vede l’opera di S.Latouche [1995]. Si
vedano anche R.Marchesini [2002] e H.Popitz [1995] insieme alla
prefazione di F.Ferrarotti.
18
Utilizzo questo termine nell’accezione che ne dà Niklas Luhmann
riferendosi al concetto di “sistema”: vale a dire, come la
capacità del sistema
di difendersi dalle minacce
dell’ambiente, non attraverso un migliore adattamento a questo,
bensì creando esso stesso gli elementi che lo costituiscono ed
evolvendosi, così, in maniera del tutto autonoma. Vorrei qui
ricordare che Luhmann definisce il “sistema” a partire dalla
distinzione sistema/ambiente, introducendo anche il concetto di
“mondo”. Per “mondo”, il sociologo e filosofo tedesco
intende la realtà
esterna al sistema
(insieme delle
possibilità indeterminabili)
caratterizzata da una complessità senza limiti; mentre al concetto
di “ambiente” associa il significato di insieme
delle possibilità determinabili
effettivamente presenti in una situazione. Il “sistema”, invece,
si distingue dall’ambiente in quanto insieme selezionato delle
possibilità
determinabili
presenti nell’ambiente stesso. A tal proposito, Luhmann introduce,
sempre riferendosi al “sistema”, il concetto di
“autoriferimento”, volendo indicare la capacità del sistema di
descriversi e percepirsi come unità. E’, quindi, il processo di
riduzione della
complessità
dell’ambiente a strutturare il sistema, consentendogli di
regolarsi autonomamente. Le “minacce” e gli stimoli
dell’ambiente (complessità)
diventano significativi per il sistema sempre nell’ambito della
traduzione
che esso ne dà in modo autoreferenziale.
Per approfondire l’affascinante “teoria dei sistemi
autoreferenziali” di Luhmann si veda N.Luhmann
[1984]. Cfr.
anche N.Luhmann, The
Autopoiesis of social Systems, in
Niklas Luhmann [1990]. Sul
concetto di “autopoiesi” e di “sistema autoreferenziale” si
veda la fondamentale opera – che ha profondamente influenzato il
pensiero contemporaneo e tutta la “teoria dei sistemi” – dei
due neurofisiologi cileni Humberto R.Maturana e Francisco J.Varela,
i quali negli anni Settanta del secolo scorso formularono la famosa
“teoria dei sistemi autopoietici”. Gli studi di Maturana e
Varela hanno avuto, inoltre, il grande merito di analizzare la
complessità
di tutti i sistemi “viventi”, biologici e sociali, mettendoli a
confronto. Rinviamo pertanto all’opera: H.R. Maturana, F.J.Varela
[1980]. Per un ulteriore approfondimento, si veda N. Addario [1998].
di teoria
e prassi,
così come erano state concepite nella modernità industriale, che si
inquadra nella prospettiva di una modernità
radicale,
in cui la dimensione della riflessività - intesa anche come
autoanalisi,
come presa d’atto
di una complessità
accresciuta e
dell’esistenza di altre
culture19
- ha assunto un peso
molto rilevante, sia dal punto di vista teorico-concettuale che da
quello pratico-strategico
[Beck, A.Giddens, S.Lash,
1994; Ferrara, 1998].
Per
dirla
con Beck, la modernità industriale, con tutte le sue istituzioni
di controllo e protezione,
ha subito un processo di radicale invecchiamento, con il risvolto più
volte ricordato della Risikogesellschaft,
che inevitabilmente la spinge all’autocritica. Per dirla
con Luhmann, nell’era della globalizzazione la dimensione di ciò
che è (perlomeno in apparenza) tecnicamente
controllato è
divenuta ipertrofica
rispetto a quella del non-tecnicamente-controllato
e, considerato che la
tecnica
con i suoi nuovi poteri
– i cui esiti sono,
almeno per ora, difficilmente valutabili - porta con sé nuovi rischi
ed incertezze a livello globale, possiamo senz’altro affermare che
la prassi
tecnologica,
contemporaneamente all’avvento del mercato globale, ha reso i
“mondi di vita” estremamente più incerti.
La comunicazione viene a costituire lo spazio socioculturale
all’interno del quale vengono promossi e condivisi i
significati, i simboli e le pratiche culturali funzionali ai
processi di mediazione simbolica e di riduzione della complessità.
In altri termini, la comunicazione permette ai valori, alle
conoscenze ed ai modelli di comportamento propri di un sistema
sociale di diventare egemoni creando equilibrio e consenso;
al contrario, può anche consentire che si affermino nuovi paradigmi,
orientamenti e credenze sia a livello teorico che pratico. E’ un
processo che rappresenta una sorta di circuito multidimensionale che
innerva il sistema-mondo nel suo complesso, i singoli sistemi sociali
e le reti di interazione sociale esistenti tra gli attori
che ne fanno parte (ecosistema). Ed è proprio attraverso la
comunicazione (e il linguaggio) che gli attori sociali (e,
perchè no, le persone) si sono sempre mostrati capaci non
soltanto di adattarsi all’ambiente ma anche di trasformarlo;
capaci non soltanto di accettare le oggettivazioni culturali,
ma anche di negarle o metterle in discussione.
La modernizzazione riflessiva e la società del rischio
globale, avendo esteso in maniera smisurata i confini dell’azione
sociale e, soprattutto, quelli della prassi, rendono assolutamente
necessaria l’estensione di un’azione e di una prassi
eticamente orientate, basate su una comunicazione
etica che non può che essere l’esito, tutt’altro che
scontato, di un processo razionale di acquisizione intersoggettiva
e, allo stesso tempo, di una profonda consapevolezza circa le “nuove”
responsabilità e l’urgenza di una loro universalizzazione.
L’esperienza sociale si basa pertanto, da una parte, sul continuo
intrecciarsi di relazioni reciproche e su complesse dinamiche
tra i diversi Sé ed i valori coincidenti con i fini
sociali e, dall’altra, su una costante mediazione tra i
conflitti che inevitabilmente si generano per la molteplicità degli
interessi in gioco; conflitti che – in questo consiste la condotta
etica e, ancor di più, la “vera” comunicazione (etica) –
devono essere ricomposti attraverso la razionalità. La Politica
nasce e si sviluppa, in un certo senso, proprio per assolvere la
funzione strategica di “dispositivo” per la mediazione del
conflitto.
Va ribadito che, nel complesso panorama della nuova comunicazione
mondo, la Rete delle reti (Internet), protagonista assoluta di
questo tempo, si configura come unico (meta)medium-messaggio
responsabile dell’interconnessione globale [Castells, 2001;
Breton, 2001; Carlini, 2002]. Un metamedium dai “lineamenti”
ambigui e ambivalenti in grado, allo stesso tempo, sia di determinare
la “fine del legame sociale” (o, quanto meno, il suo
indebolimento) che di potenziare le sinapsi che uniscono gli
snodi delle rete del sistema in cui si producono conoscenza, cultura,
strategie di azione e cooperazione (capitale sociale20).
19 E dobbiamo prendere atto anche
“della contingenza dell’appartenenza di determinati elementi a
determinate culture” [Luhmann,
1992: 59].
20
Le reti
sistemiche di
relazione sociale definiscono le modalità degli scambi
interindividuali (intersoggettivi),
favorendo, in funzione della fiducia
e della cooperazione
che questi richiedono, il raggiungimento di obiettivi finalizzati
alla realizzazione del “bene pubblico” e/o di un interesse
collettivo. Ciò può
implicare – in quanto non è scontato - una maggiore
consapevolezza dell’importanza del rispetto delle norme e del
“senso civico”: l’altruismo e il comportamento cooperativo
tendono a configurarsi, in tal senso, come veri e propri “motori
sociali” dello sviluppo. Cfr. J.S. Coleman [1990], con
particolare riferimento alla seconda parte dell’opera in cui,
oltre alla questione fondamentale del “capitale sociale”, si
affrontano i seguenti argomenti: i sistemi di scambio sociale,
rapporti e sistemi di autorità, i sistemi di fiducia, il
comportamento collettivo e le norme efficaci (domanda e
creazione).Si rinvia anche ad una lettura degli altri contributi
contenuti nel volume [supra
e infra].
L’utopia della "Knowledge Society" e le opportunità di "modificare il sistema"
La Knowledge Society costituisce, in tal senso, una
straordinaria utopia fondata su concrete, oltre che inedite,
opportunità di accesso alla conoscenza, alla sua produzione e
distribuzione. La struttura reticolare di Internet e
l’intensità dei flussi che questa consente possono semplificare la
definizione di un rapporto più diretto tra “sfera pubblica” e
“sfera privata”, tra sistema di potere e società civile,
tra responsabilità individuale e responsabilità collettiva.
L’affermazione di nuove forme di soggettività più autonome
e responsabili21 potrebbe, per certi versi paradossalmente, creare le premesse
fondamentali per lo sviluppo di una democrazia realmente
“deliberativa” e non soltanto “procedurale”, anche se occorre
prestare attenzione alle lusinghe ed alle retoriche della
cittadinanza digitale. In altre parole, la proliferazione
delle opportunità e delle forme di produzione sociale di
conoscenza è destinata a portare con sé una rinnovata
consapevolezza della valenza strategica della sfera pubblica e, con
questa, l’urgenza di una riforma complessiva del pensiero
(complesso) e del sapere22,
che implica un’educazione alla cittadinanza.
Senza dimenticare che alla base di tutto si trova un complesso
processo di trasformazione antropologica e sociale, che
vede come dominatori incontrastati un po’ tutti i new media
elettronici; un processo che investe direttamente l’agire
individuale e collettivo – il potere, il (tele)lavoro, la
creatività (scienza e arte), la conoscenza, la produzione -
lasciando addirittura intravedere possibili scenari legati al trionfo
di una democrazia mediatica (teledemocrazia) o di una
repubblica elettronica [Grossman,
1995]; magari fondata su nuovi gruppi di pressione e/o comunità
virtuali, che si fanno portatori di istanze sociali e politiche
rimaste in passato latenti, avvolte nella spirale mediatica del
silenzio, con l’obiettivo di strutturare l’agenda della politica.
La società globale del rischio ci richiede – volendo estremizzare
il concetto – di globalizzare le eventuali soluzioni ai rischi ed
alle incertezze del sistema-mondo.
Gli attori sociali della nuova sfera-pubblica transnazionale, in
particolare coloro che in passato erano esclusi, all’interno
di una nuova geografia dei rapporti di forza, sembrano
destinati a recitare sempre più un ruolo strategico nell’ambito
della dialettica politica, anche e soltanto per il fatto di essere
diventati “produttori”(visibili) di un flusso costante, ed
estremamente articolato, di informazioni e conoscenze (cultura), che
21
Che di fatto si configurano
anche come nuovi stakeholders
=
portatori di interessi.
22
Su questi argomenti vorremmo ricordare alcune opere di Edgar Morin:
si vedano,
in particolare,
E.Morin [1999a], E.Morin [1999b]; E.Morin [2002], volume che
contiene anche un’interessante intervista di Antonella Martini
all’intellettuale teorico della complessità e del “pensiero
complesso”. Inoltre, proprio sulla questione, a nostro avviso,
fondamentale del “pensiero complesso” rimandiamo a E.Morin
[1990] e E.Morin, É.-R.Ciurana, D.R.Motta [2003].
scardina il monopolio del tradizionale modello
industriale23.
Le nuove forme di produzione sociale generatesi dal basso
metteranno sempre più a dura prova anche la tenuta dei sistemi di
potere che, paradossalmente, trovandosi a dover gestire differenti
forme di conflitto, potrebbero rintracciare modalità diversificate
di configurazione strutturale, lasciandosi contaminare da ciò
che è stato sempre “fuori dal sistema”24.
Quelle che ho definito le “nuove soggettività etiche”25,
d’altra parte, con l’avvento della sfera pubblica globale e
grazie alle maggiori opportunità di condivisione della conoscenza,
sembrano destinate ad invadere e ri-conquistare prepotentemente lo
spazio della politica: significa entrare nel sistema e,
contribuendo a ri-modulare i rapporti di potere, incidere
sempre più concretamente sui delicati meccanismi di definizione
delle priorità e delle decisioni politiche. Elemento strategico che
porta con sé il simultaneo rafforzamento delle strutture
sociali della cooperazione e della fiducia, capaci di
limitare i rischi derivanti dai comportamenti individualistici,
antisociali o devianti.
23
Si pensi, per esempio, ai movimenti che si battono per i “beni
comuni” e/o per l’apertura
e la diffusione della conoscenza.
24
R.A. Dahl [1971] parla di
“poliarchia” - e degli “indicatori” che la caratterizzano -
proprio in termini di inclusività
e partecipazione
alla prassi democratica del più alto numero possibile di individui.
25
Quelle che, in questa sede, ho definito “nuove soggettività
etiche” sono
evidentemente soggettività
portatrici di valori, di istanze e di una relazionalità
diffusa
[Mazza, Volterrani, supra],
che si manifesta già nell’atto del generare e, successivamente,
dell’elaborare atti linguistici e/o comunicativi che, nel loro
strutturarsi, non possono che fare riferimento ad un sistema
di regole, di
codici e di
procedure mediato culturalmente
in grado di definire “nuove” relazioni di potere.
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