mercoledì 28 agosto 2013
"Nell’ottobre del 2011 arrivò il ciclone dello spread che rischiava di mandare l’Italia in default e, con essa, di far sfasciare l’Euro ipso facto. “The Economist” (che mi pare una cosa abbastanza rappresentativa degli umori del capitale finanziario europeo) dedicò al Cavaliere copertine al vetriolo, con l’invito piuttosto esplicito a togliere il disturbo. Nel Pdl iniziò una nutrita fronda, nella quale spiccava anche qualche autorevole nome in odore di Loggia. A novembre lo spread esplodeva sino a superare i 600 punti. Beninteso: la situazione italiana era ed è difficile ed i mercati internazionali sono propensi a trattare il nostro paese con minore indulgenza riservata ad altri, quale che sia il governo in carica. Ma in quel picco c’era qualcosa in più che non era difficile interpretare: “se Berlusconi non se ne va, affondiamo l’Italia”. Ma, nonostante tutto, il Cavaliere non intendeva ragioni, ed era pronto ad un voto di fiducia in Parlamento (magari confidando sulla consueta “moral suation” del suo blocchetto di assegni). Allora, giunse prontamente un argomento molto più convincente: il titolo Mediaset perse il 26% del suo valore in due giorni. Il terzo giorno il Cavaliere si dimetteva ed accettava di dare il suo voto a Monti. La cura calmante ebbe un effetto piuttosto durevole sul Cavaliere, che si ritirò a leccarsi le ferite per diversi mesi. E questa volta le “Toghe rosse” non c’entravano proprio niente. Poi sono arrivate le elezioni di febbraio scorso, nelle quali, pur non vincendo, il Cavaliere ha ottenuto uno splendido successo (bisogna riconoscerlo). E questo, forse, gli ha montato un po’ la testa, facendogli pensare che stesse per tornare il suo momento. Ma aveva dimenticato le bombe ad orologeria che stavano per esplodere."
"Quanto alla Ue, Sarkozy e la Merkel si incaricarono di rendere pubblico che del Cavaliere se ne parlava solo per ridere. Per di più, l’Uomo di Arcore, ossessionato dai suoi processi, imponeva nell’agenda politica solo deliranti progetti che lo rendessero improcessabile per qualsiasi cosa facesse, mentre ignorava del tutto la crisi finanziaria che stava per investire il paese. “La crisi? I ristoranti sono pieni, in aereo si fa fatica a trovare un posto…” ricordate? Dal 2010 iniziò un pressing per liberarsene, nel quale era riconoscibile la mano non solo della Fiat o di De Benedetti, ma anche del gruppo Intesa-San Paolo, di Unicredit, del gruppo Pirelli, della Confindustria e degli organi stampa più o meno influenzati da ciascuno di essi. All’accerchiamento davano man forte anche importanti esponenti istituzionali: il Capo dello Stato, che sino al 2009 era rimasto abbastanza assopito (non rifiutando neppure la firma ad alle leggi berlusconiane più incostituzionali) iniziava a diventare iper cinetico, mostrando via via crescente insofferenza verso l’inquilino di Palazzo Chigi. Ed anche l’allora Presidente della Camera, Gianfranco Fini, entrò in aperta e diretta polemica con l’uomo con il quale aveva co-fondato un partito solo 11 mesi prima. Ma ci furono anche altri importanti oppositori coperti (chiamiamoli così) del Cavaliere. Tanto per divagare, ci chiediamo come abbia fatto l’ormai celebre fotoreporter Antonello Zappadu ad eludere la sorveglianza di villa Certosa (istituzionalmente affidata alla Polizia di Stato) e scattare ben 5.000 fotografie."
"La storia è fatta anche di piccoli gesti simbolici che dicono più di molte dichiarazioni stampa. Dal 2000 al 2006, il grande capitale, Fiat in testa, si acconciarono a convivere con il cafone rifatto, subendo persino l’onta della elezione, a capo della Confindustria, di Antonio D’Amato che batteva il candidato della Fiat Carlo Callieri. Già nel 2006, la grande finanza non nascose le sue simpatie per Prodi (ricordiamo il violento scontro fra il Cavaliere e Diego Della Valle). Poi, di fronte al fallimento del governo Prodi, i “poteri forti” si rassegnarono al ritorno del Cavaliere, che, però, si dimostrò subito un pericolo pubblico anche per loro. L’immagine del paese crollava a livelli mai visti in 150 anni di storia nazionale e questo incide negativamente su chi lavora sulle piazze d’affari di tutto il Mondo. Nessun paese può permettersi il lusso di un capo di governo che diventa una macchietta. Dalla Cina, all’Inghilterra, all’Egitto i giornali riportavano vignette che avevano come protagonista un Berlusconi, diventato, ormai una maschera della Commedia dell’arte."
"Tycoon come Rupert Murdoch hanno utilizzato la visibilità delle loro imprese per sostenere partiti politici, altri, come Silvio Berlusconi, hanno abusato degli organi di informazione da loro posseduti per insediarsi in posizioni politiche preminenti. Prima della loro morte, Jésus de Polanco in Spagna, Hans Dichand in Austria e decenni prima Axel Springer e Rudolf Augstein in Germania o Alfred Harmsworth (Lord Northcliffe) e Robert Maxwell nel Regno Unito furono tipici baroni dei media e coltivarono l’esercizio del potere in forma più discreta, ma anche occasionalmente mostrando i muscoli."
Il ricercatore canadese David Taras ha definito la figura di “barone dei media” come “un potente proprietario di media che vede se stesso […] in parte come un uomo di affari, in parte come un giornalista e in parte come un uomo politico. L’influenza dei baroni dei media non deriva tanto dalla pressione commerciale che essi esercitano sui notiziari, quanto dall’estensione a cui portano lo scontro in qualità di imprenditori giornalistici e personalità politiche. Essi hanno acquistato giornali e possiedono stazioni tv proprio a causa della loro ardente militanza politica”.
"Consentire che l’occidente “punisca” (è questa l’espressione usata ieri da Hollande) il clan Assad è altra cosa che dismettere i propri interessi in Siria. Incontri come quello di fine luglio tra Putin e il principe saudita, capo dell’intelligence, Bandar bin Sultan mostrano come i fronti di discussione siano fluidi. Secondo Nikolas Gvosdev sul National Interest, inoltre, la Russia farà in modo che l’intervento in Siria non sia una replica di quello in Libia, dove una no-fly zone “umanitaria” si è trasformata in un’operazione di regime change. Le possibili ritorsioni passano dal boicottaggio all’Onu, al divieto di passaggio sul suolo russo dei mezzi Nato diretti in Afghanistan, all’interruzione di accordi economici, a una stretta dei rapporti con Iran e Cina in chiave antiamericana (i tre presidenti si incontreranno il mese prossimo in Kirghizistan). C’è poi la possibilità che un intervento in Siria impantani l’America in un terzo conflitto mediorientale incancrenito e apparentemente insolvibile, distolga Obama dalla sua strategia di “pivot” asiatico, lasci spazio alla Russia nel Pacifico. Per Putin, sarebbe l’ipotesi più rosea."
"Il delirio di fine agosto si basa su una formuletta lessicale nuova – dopo ‘plotone di esecuzione’ e ‘agibilità politica’. È quella battezzata ‘diritto di difesa’. Lo ha evocato il solito Violante (e vabbè), ma dice Quagliariello che anche Epifani non lo mette in discussione, quindi ‘uno spiraglio c’è’."
"Non penserai veramente che un governo composto da fiancheggiatori di un condannato per frode fiscale possa fare qualcosa di buono ? Che forzare in questo modo le regole porti da qualche parte ? Se veramente si vuole dare stabilità al governo, l’unica è quella di liberarsi del condannato e ripartire, mi sembra così ovvio."
"Why Freud Still Matters, When He Was Wrong About everything?...
Stefano Rocca: "Why Freud Still Matters, When He Was Wrong About ...: http://io9.com/why-freud-still-matters-when-he-was-wrong-about-almost-1055800815
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