martedì 24 settembre 2013

Telecom Italia: siamo qui ancora una volta a occuparci e preoccuparci del suo destino. Un tempo era tra le grandi società di telefonia al mondo, oggi appare soltanto come una possibile preda di gruppi esteri. Non ce ne vogliano i difensori a oltranza del mercato «che fa sempre la scelta giusta», in questo caso non è avvenuto. Privatizzata nel 1997 è stata oggetto di scalate fatte a debito e passaggi di mano che l'hanno sfibrata. Dovrebbe oggi essere in prima linea nel fornire un'infrastruttura decisiva per lo sviluppo del Paese, è invece alle prese con una valorizzazione di Borsa di poco più di 8 miliardi, un debito di 40 con per di più le agenzie di rating che minacciano di declassarlo a «spazzatura». Tra i candidati più accreditati come potenziale socio di riferimento o acquirente ci sono gli spagnoli di Telefonica. Si tratta di un altro gruppo non meno esposto finanziariamente e che non sta certo viaggiando a velocità spedita. È frenato dalla crisi spagnola e da un Brasile che inizia a rallentare. Deve fare fronte poi a un debito pari a 51 miliardi. Entrambe le società sono decisive nel campo dell'innovazione per i rispettivi Paesi e mercati. Il tema Telecom Italia ha due aspetti: uno societario e quindi di sostenibilità finanziaria e industriale, l'altro relativo al servizio che offre, a quello che fa. La situazione del mercato delle telecomunicazioni nel mondo indica che si andrà sicuramente verso un consolidamento a tratti feroce tra i gruppi del settore. Il caso di Vodafone che sceglie di vendere la sua partecipazione nell'americana Verizon per 130 miliardi e contemporaneamente crescere acquisendo in Germania ne è un esempio. In Europa più o meno ogni Paese ha la sua società di telefonia: ma in tutti gli Stati Uniti le aziende di telecomunicazioni sono quattro. E non è nemmeno così importante che chi permette agli italiani o ai francesi o ai tedeschi di telefonarsi sia un operatore nazionale. Nel nostro Paese tre su quattro società del settore sono già oggi estere. Il mercato, la concorrenza, ha permesso ai consumatori di avere tariffe ben convenienti. Quello che però i Paesi hanno capito bene è che il moltiplicatore di sviluppo è la rete. È l'infrastruttura che fornisce ossatura e alimento per l'innovazione. Lo è stato a suo tempo nei primi anni Novanta, anche per l'Italia quando si ritrovò all'avanguardia in Europa nel campo della telefonia mobile grazie alla due reti combinate di Tim e Omnitel-Vodafone. Lo è oggi perché permette un utilizzo massiccio di Internet veloce. Ma se l'infrastruttura ne è all'altezza. Attualmente solo il 22% degli italiani dispone di un collegamento a banda larga (e peraltro la meno veloce) rispetto a una media europea di quasi il 28% e la punta francese di oltre il 36%. Chiunque abbia provato a usare Internet in movimento o con un tablet fuori dalle grandi città o agglomerati italiani, conosce le difficoltà alle quali si va incontro. Ecco perché chi controlla la rete, dovendo affrontare nei prossimi anni investimenti importanti, non può essere un soggetto debole. E nemmeno frutto di due debolezze messe assieme. Non è un caso che nelle settimane scorse si sia parlato di un possibile intervento della Cassa depositi e prestiti per Telecom Italia. Ma che i soldi dei risparmiatori vengano usati per sostenere o peggio per pagare i debiti di una società privata è oggi impensabile. Semmai, una volta fosse deciso lo scorporo da Telecom Italia si potrà individuare nella strategicità dell'infrastruttura una ragione di intervento. Il problema è il tempo. Molto si deciderà nei prossimi giorni. Entro il 28 settembre i soci di Telco (la finanziaria che è subentrata nel 2007 alla Pirelli diventando azionista di riferimento di Telecom Italia con una quota del 22,45%), potranno chiarire se vogliono continuare a tenere vincolate nella società le proprie azioni. Gli azionisti di Telco hanno nomi di rango, hanno investito e perso in questi anni molti miliardi e per questo sono tentati dal chiudere definitivamente l'esperienza. Si chiamano Mediobanca, Generali, Intesa Sanpaolo e infine Telefonica. Gli spagnoli possiedono quasi la metà di Telco (il 46%) e vengono visti come gli acquirenti naturali delle altre quote. In ogni caso che Telefonica sia interessata o che altri possano intervenire, tutto ciò non può avvenire tra il disinteresse più o meno generale. Non si può permettere che società indebitate e alle prese con una crisi della Spagna ben più ampia della nostra, subentrino a prezzi di saldo. Le troppe distrazioni di questo periodo non saranno una giustificazione per scelte sbagliate che influiranno pesantemente sul futuro di questo Paese.

http://www.corriere.it/editoriali/13_settembre_19/strano-caso-telecom-italia_de588ee6-20e9-11e3-abd6-3cb13db882d4.shtml

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