lunedì 7 ottobre 2013

La legge sul sistema televisivo: un sostanziale monopolio travestito da pluralismo - Dall’inizio degli anni Settanta, seppur nell’illegalità, essa si dà da fare con l’occupazione, spesso arbitraria, delle frequenze. Cresce anche il numero delle emittenti che trasmettono via cavo, sistema che la Corte costituzionale, con sentenza 226/1974, aveva escluso dal monopolio statale. Secondo la Corte, “giacché i canali realizzabili mediante cavo sono illimitati e di costo non rilevante, l'estensione del monopolio statale alla televisione via cavo, non potendo giustificarsi in base all'esistenza di un monopolio di fatto dovuto a ragioni tecniche, come per la televisione via etere, contrasta con gli artt. 41 e 43 Cost.”. In alcuni casi le emittenti via etere a carattere locale si associano e cominciano a trasmettere gli stessi programmi, registrati in precedenza, in leggera differita. Il volto del mezzo televisivo inizia a cambiare: dagli intenti quasi pedagogici della prima televisione, il cui obiettivo era stato quello di educare la popolazione, spesso analfabeta, e contribuire alla creazione del sentimento nazionale, si passa a un’ottica commerciale, volta alla colonizzazione e allo sfruttamento di un nuovo mercato. La pubblicità è l’arma per fare profitti, ma i costi iniziali sono molto alti e sono necessari ingenti capitali. Nel 1980 Telemilano e le sue consociate si trasformano nel network nazionale di Canale 5. Il proprietario è Silvio Berlusconi, quarantaquattro anni, imprenditore edilizio di grandi speranze convertitosi all’editoria. Il motivo ce lo spiega lui stesso in una intervista a Capital, che gli dedica la copertina del numero di aprile del 1981. Secondo il giovane e rampante Cavaliere “l’edilizia ha troppi vincoli e impone una eccessiva lentezza”. All’epoca il suo gruppo finanziario, la Fininvest, ha partecipazioni in 44 società edilizie (con oltre 1.000 miliardi di lavori in corso), ma anche nell’editoria, nella televisione e nell’elettronica. Dalla costruzione di Milano 2 il Cavaliere aveva tratto cospicui guadagni, ma i progetti edilizi successivi, non avendo trovato sostegno nelle autorità locali, languivano da quasi dieci anni in attesa di approvazione. “Una perfetta macchina per punire”, così nell’intervista Berlusconi definisce la legislazione edilizia, che interrompendo il circolo virtuoso del reinvestimento del capitale, gli negava la possibilità di seminare la pianura padana con i suoi paesini modulari a misura della nuova piccola borghesia. Questa contingenza, si legge ancora, “lo ha costretto a impegnarsi in altri settori imprenditoriali a più rapido tasso di realizzazione: nell’editoria, acquistando il 37,5% dell’editrice di Il Giornale Nuovo e diventandone il socio di maggioranza relativa, e nel campo delle tv private, il suo Canale 5, con 300 ripetitori in Italia, si avvia a un fatturato pubblicitario annuo di 60 miliardi di lire”. La televisione commerciale è ormai una realtà, e per quanto la normativa successiva, la legge 4 febbraio 1985 n. 10, ribadisca che la diffusione sonora e televisiva sull’intero territorio nazionale via etere o via cavo o per mezzo di satelliti o con qualsiasi altro mezzo, ha carattere di preminente interesse generale ed è riservata allo Stato, d’altra parte riconosce l’esistenza delle emittenti private. Ne riconosce la legittimità nell’ambito di un piano nazionale di assegnazione delle frequenze, e permette la trasmissione degli stessi programmi pre-registrati, da diverse emittenti, purché in tempi diversi. La legge in esame viene però resa incostituzionale dalla sentenza della Corte costituzionale n. 826/1988. Anche se il superamento del monopolio statale è ormai un dato di fatto. Tuttavia tale superamento viene subordinato all’approvazione di un corpus organico di norme inteso a stabilire forti garanzie in grado di salvaguardare il massimo pluralismo nell’informazione, evitando nel contempo derive oligopolistiche del mercato.

http://www.rivistapaginauno.it/pluralismo.php

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