giovedì 26 settembre 2013

L'Italia di Berlusconi come caso di studio per la scienza politica - È difficile, in un’Italia su cui l’ombra di Berlusconi è ancora così lunga e densa, riuscire a parlare dell’età berlusconiana con approccio scientifico, seguendo l’indicazione spinoziana di comprendere le azioni umane senza ridere, né piangere, né detestare. Tentano comunque di farlo alcuni saggi che, quasi presagendo il declino di un’epoca, iniziano a farne un bilancio, senza peraltro riuscire a pronunciarsi sull’eredità che ne conseguirà. Considerando l’Italia di Berlusconi, una delle difficoltà interpretative più evidenti nasce sul piano della teoria delle forme di governo: qual è l’estensione del concetto di democrazia? Di che genere è la crisi della democrazia italiana che tanti volumi hanno descritto e continuano a descrivere? Che rapporto c’è tra quella crisi, nella sua fase attuale, e l’impronta che Berlusconi ha dato al fare politica in Italia? Luigi Ferrajoli ha recentemente scritto di una crisi duplice, dall’alto e dal basso: richiamando l’ultimo articolo della Costituzione francese dell’anno III, che affidava la stessa Costituzione alla lealtà dei pubblici poteri e alla «vigilanza dei padri di famiglia, alle spose e alle madri, all’affetto dei giovani cittadini, al coraggio di tutti i Francesi», Ferrajoli fa notare che in Italia sono venute meno precisamente quelle due garanzie, «la lealtà dei titolari dei poteri di governo [...], essi stessi promotori della deformazione costituzionale», e la «vigilanza di una parte rilevante dell’opinione pubblica, anestetizzata dalla propaganda» (Poteri selvaggi. La crisi della democrazia italiana, Laterza, Roma-Bari 2011, p. VIII). Il ruolo di Berlusconi nel generare tali dinamiche è rilevante; talmente rilevante, tuttavia, che rischia di far perdere di vista l’intricatissima rete di agenti e di fenomeni che precedono lo stesso Berlusconi o che, indipendentemente dal suo intervento diretto, ne hanno favorito l’affermazione, di volta in volta per inerzie, omissioni, spinte emulative, incapacità di elaborare conflitti e di evitare divisioni, carenze sul piano dell’immaginazione politica. Si comprende in questa chiave perché, nella prefazione al volume da loro curato, Ginsborg e Asquer (Cos’è il berlusconismo, pp. V-XXIX) riferiscano espressamente al centrosinistra italiano dal 1994 in poi l’aggettivo semileale, riprendendo l’attribuzione che Juan Linz riferì ai partiti democratici europei per descriverne l’atteggiamento dopo la prima guerra mondiale, le divisioni e le inerzie che favorirono l’ascesa delle destre (rif. a J. J. Linz, Crisis, Breakdown, and Reequilibration, in Id., A. Stepan, eds., The Breakdown of Democratic Regimes, John Hopkins University Press, Baltimore-London 1978).

http://www.polemos.it/doc_recensioni/72.html

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