martedì 8 ottobre 2013

La cultura non ha mai avuto vita facile, in Italia. Nel 1861, il 75% della popolazione non sa né leggere né scrivere. Le riforme scolastiche che si susseguono fino all’epoca fascista mirano ad alfabetizzare, condizione sempre più necessaria per poter lavorare: viene istituita la scuola dell’obbligo dai sei agli undici anni. Nel 1951, gli analfabeti sono ancora il 13,8% (il 25% nelle isole) e i semianalfabeti – appena in grado di scrivere il proprio nome e incapaci di comprendere un testo scritto – sono il 26%; inoltre, il 60% della popolazione si esprime unicamente in una lingua dialettale. Il ministero della Pubblica istruzione decide di usare la televisione in funzione pedagogica, per uniformare la lingua e per alfabetizzare. Nel 1958 Telescuola avvia il ciclo di trasmissioni cosiddette educative, a cui si affianca Telemedia, nel 1961. Contemporaneamente nasce Non è mai troppo tardi (1960-1968), con un approccio completamente diverso: protagonista non è più il maestro che trasmette il sapere ma lo diventano gli studenti/pubblico, in studio e a casa. Il docente diviene una sorta di conduttore, che falsamente – la televisione che entra nelle case è sempre qualcosa che cala dall’alto – fa da guida ‘tra pari’, tenendo insieme testi, immagini, supporti audio, filmati e interviste. Gli italiani si uniformano: imparano non solo a leggere e scrivere ma una lingua e una ‘cultura’ nazionale; avviene quell’omologazione che Pasolini chiamava “genocidio culturale definitivo”. Non poteva andare diversamente per un popolo che, nel proprio percorso storico, ha saltato a piè pari la trasmissione del sapere basata sulla cultura tipografica dei libri e dei giornali ed è passato direttamente dall’analfabetismo alla cultura visiva della televisione: il nonno semianalfabeta, il nipote laureato, conviventi in una casa priva di libri.

http://www.rivistapaginauno.it/Uomo-massa-e-suo-fratello-al-voto.php

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