lunedì 23 settembre 2013
Per quanto riguarda invece l’informazione, pensi che la dimensione di citizen journalism un tempo svolta dai blog si sia spostata su Twitter? “La questione è diventata più complicata rispetto a prima. In passato, ci si poteva affidare alla tecnologia e i vincoli che questa ti portava nella narrazione diventavano lo strumento per realizzare i contenuti. In sostanza, se si voleva postare qualcosa di istantaneo, si utilizzavano i social network, se invece si voleva costruire qualcosa di più ampio, occorreva uno spazio più sedimentato. Adesso, vedo uno spazio per il citizen journalism di sicuro, ma più nel senso di freelance citizen journalism, fatto da cittadini con una forma deontologica più vicina al giornalista freelance, che al cittadino generico. È una tendenza piuttosto interessante, anche perché ora è possibile fare cronaca con diversi strumenti, a cominciare dalla content curation, con la quale è possibile raccontare una storia in modo polifonico, lavorando quasi come un “regista” di frammenti di contenuti online, penso ad esempio a Storify. C’è lo spazio per un nuovo tipo di giornalismo, ma dal mio punto di vista, al momento, le cose più affascinanti arrivano dal data journalism, soprattutto dal punto di vista delle inchieste, come quelle realizzate in Italia da Wired e dal Corriere, sono lavori che possono essere equiparati a ricerche su argomenti specifici. Si andrà verso una sorta di biforcazione per chi vuole raccontare storie con una prospettiva giornalistica, dove la tecnologia metterà da una parte chi vuole raccontare una storia aggregando contenuti con la content curation, dall’altra un nuovo modo di fare reportage più focalizzato sul data journalism o altri strumenti. Sono due prospettive interessanti che si affiancheranno al classico giornalismo”.
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