domenica 22 settembre 2013
Christian Caliandro - Il punto di origine è sempre e comunque negli Anni Ottanta italiani. Lì si compie la mutazione storica e antropologica intravista da Pasolini e ne inizia un’altra, forse ancora più radicale. Da Vermicino alle tv private, i processi trasformazione, rimozione e riflusso si intrecciano e si sovrappongono: nascono i fantasmi che ci visiteranno nei successivi decenni. Il nostro Paese è quindi preda da almeno trent’anni di una forma acuta di dissociazione dalla realtà, di vera e propria schizofrenia: si è raccontato un’altra verità rispetto a quella effettiva, un’altra identità. Ma la dissociazione può anche diventare iper-dissociazione. Oltre a quella dei cinquanta-sessantenni, esiste infatti anche quella dei trenta-quarantenni. Questo distacco acuto e peculiare fa sì che le persone (leader o futuri leader; imprenditori; intellettuali o aspiranti tali ecc.) abbiano magari ben chiaro in mente quello che c’è da fare, le soluzioni da adottare per scardinare per esempio chiusure, corporativismi e protezionismi in tutti i settori della società, e le dicano anche ad alta voce con passione e competenza; ma che poi rimangano, mentre parlano e si esprimono, prigionieri dei linguaggi e degli schemi interpretativi ereditati dalla/dalle generazioni precedenti. Che rimangano, in definitiva, sequestrate all’interno del “teatro”, dell’eterna commedia delle parti nazionale, che consegna qualunque intenzione al dominio della rappresentazione, e mai invece all’azione nella e sulla realtà. In questo modo, il pensiero non diventa tensione autentica, orientata alla trasformazione del mondo circostante. L’aspetto tragicomico, poi, dell’intera faccenda è che tutto ciò accade proprio in chi è fermamente convinto di essersi messo nella direzione giusta, di essersi finalmente e definitivamente sganciato dall’eterno compromesso e dai comportamenti dei padri.
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